Col crescere della popolazione -siamo nei primi anni del '600- si è sentito il bisogno e la necessità di costruire le prime case in questa zona, posta alla periferia a del paese.
Alcuni cittadini, con i loro risparmi comprarono piccoli appezzamenti di terra e così in quella zona nacquero le prime abitazioni in pietra e gesso.
Successivamente furono istallate tre fontanelle in ferro: una vicino l'attuale chiesetta, un'altra a "la mola", corrispondente alla via Leonina e la terza a "lu piliu", oggi quartiere Pozzillo.
Così l'acqua ognuno la andava a riempirla con recipienti quali "quartari", "bummuli", "lanceddri", "bardi" e "baccareddri", per poi servirsene nel corso della giornata.
Il quartiere cresceva e continuava ad espandersi: così uomini e donne sentirono il bisogno di avere una chiesetta lì vicino, dove poter pregare ed assistere alla S. Messa.
Scelto il luogo, nel 1640, previa concessione dell'allora Baronessa Donna Elisabetta Barresi, signora di Alessandria e dell'arciprete Don Onofrio Ansalone, si iniziò la costruzione: furono erette le mura con pietre e pezzi di tufo.
Per le immagini sacre da porre nelle due nicchie, i fedeli hanno espresso il desiderio di acquistare la statua di San Giovanni Battista, il precursore di Gesù Cristo, e quella di Santa Lucia.
Per questi grandi santi, c'è molta devozione in Alessandria, ma in particolar modo per San Giovanni, la cui festa si celebra in forma solenne il 24 giugno, mentre quella di Santa Lucia il 13 dicembre.
Di San Giovanni si dice che è il protettore della testa e, forse, i nostri antenati hanno voluto dedicare questa chiesa al Santo proprio perchè allora tanta gente soffriva di mal di testa o dava segni di squilibrio mentale e lo pregava perchè intercedesse presso Gesù, per concedere la grazia della guarigione e provvedesse anche a "guardarici lu sensu".
E' giusto e doveroso, considerando la grande fede che il popolo alessandrino nutre per S. Giovanni Battista, tramandare alle future generazioni il modo in cui si svolgono i festeggiamenti in suo onore.
Le antiche tradizioni, miste di sacro e di profano, si sono tramandate nel corso dei secoli, così come sono nate.
I giorni precedenti il 24 giugno, i fedeli iniziano i pellegrinaggi: alcuni a piedi scalzi, altri in ginocchio, partendo dalla propria abitazione e dirigendosi verso la chiesa di S. Giovanni portano candele, mazzi di fiori, lumini e chiedono al Santo grazie, in particolare quella della salute della mente.
Il comitato permanente, costituito nel 1962 dall'allora arciprete P. Calogero Bonelli, ma aperto anche a chi avesse qualche voto da sciogliere, o qualche "prummisioni", inizia, con l'autorizzazione del parroco, la raccolta delle offerte per le vie del paese, sin dai primi di giugno, che serviranno per illuminare il percorso processionale, per la banda musicale, per la maschetteria, per qualche opera caritativa della parrocchia e per la manutenzione annuale della chiesa di s. Giovanni.
La novena in onore del Santo inizia il 15 giugno, con la recita del S. Rosario tradizionale e si conclude con la celebrazione della Santa Messa secondo le intenzioni dei devoti.
La credenza popolare vuole "ca lu Santu s'addrummisci tri jorna prima di la so festa, pi 'un vidiri chiddri ca 'un ni la guardanu; quannu s'ddriviglia ci dicinu ca già passà" e così rimane deluso e turbato.
La vigilia si celebrano i vespri che vedono la chiesa stracolma di fedeli; per non parlare il giorno della festa: i componenti il Comitato, sin dalle quattro di mattina, prepara l'altare, posto al centro di via S. Giovanni, addobbandolo con una tovaglia, impreziosita da ricami riproducenti simboli liturgici, e con fiori.
La fede è grande ed ammirevole: tanta gente, per trovare un posto a sedere e per pregare, si reca in via S. Giovanni sin dalla mattina alle quattro, aspettando la Celebrazione che sarà allietata da canti dei giovani che, incuranti dell'ora mattutina, si fanno sempre più numerosi, per non mancare all'appuntamento per lodare il Santo.
Tutti i fedeli portano con umiltà e devozione il pane, che dovrà essere benedetto, su un vassoio ricoperto da candide tovaglie e contornato da garofani e da "citronella".
Al pane, impastato alla maniera tradizionale, viene data una determinata forma, che è quella che raffigura la testa del Santo visto che ne è protettore, o anche quella del Santo bambino o di una parte del corpo per cui si chiede la grazia e, prima di essere infornato, viene spennellato con tuorlo d'uovo e con la "scorcia" dello stesso gli vengono raffigurati gli occhi.
La sera in processione la "vara", in legno massiccio e pesantissima, viene portata a spalla dai fedeli per tutta la processione in segno di profonda fede per San Giovanni; la tradizione vuole che le persone che hanno una "Prummisioni" aspettino che la processione passi davanti la propria abitazione o si fermano "a la cantunera" per fare la propria offerta: ciò spiega perchè la processione è lunga e dura fino a tarda sera.
Questa si conclude in via San Giovanni: i balconi sono addobbati a festa, con le più belle coperte che ognuno possiede; la strada è magnificamente illuminata e stracolma di persone che attendono l'entrata del simulacro in chiesa.
I nastri che scendono dalle braccia del Santo, pieni di offerte, vengono messi in una "coffa" per poi essere contati e coprire così le spese occorse; la folla, anche se stanca, ma piena di fervore, di fede e di amore, si accalca per asciugare con qualche fazzoletto l'effige di San Giovanni, per poi "stujarisi" la propria fronte: segno questo di grande devozione, ma anche di timore visto che San. Giovanni è protettore della testa. Infine non c'è persona che non porti a casa qualche fiore benedetto, tolto dalla "vara".
Una tradizione che non vogliamo dimenticare, perchè tipicamente alessandrina, è quella "di lu lavureddru".
Giorni prima della festa, alcuni chicchi di grano venivano messi tra due batuffoli di cotone, imbevuti di acqua, e restavano al buio fino a quando germogliavano.
Gli steli, il giorno della festa, si staccavano e ognuno sceglieva la persona che più gli faceva simpatia e glielo faceva spezzettare in tre parti: una veniva gettata per terra, un'altra veniva consegnata alla persona che diventava figlioccio/a, che la metteva in bocca, così pure per l'altra parte che veniva data alla persona che diventava padrino o madrina. Si poteva diventare anche compari o comari donde la consueta frase "cummari a San Giuvanni". Allo stesso modo si poteva procedere con i pistilli del garofano, fiore che caratterizza tuttora la festa di san Giovanni.
Durante il rito le parti incrociavano i mignoli e si recitava questa filastrocca:
"Cummari e cummareddra
semmu junti a la valateddra
'nzoccu avemmu nni spartemmu
a la morti nni juncemmu!"
(Notizie tratte dal libro San Giuvanni fu lu primu…, pubblicato dal Comitato nel 1995, di Serafina Castellano, Nino Raineri, Rosetta Urso)